spazio pubblico/privato, tertium non datur, ovvero il vuoto dell’agorà
ma0 studio d’archtettura progetto Eaux Vives | Articolo di Marcello Balzani pubblicato da architetti.com
Una delle grandi dicotomie del pensiero giuridico, scriveva Norberto Bobbio, è proprio identificata nella definizione oppositiva pubblico/privato. Una definizione che si sviluppa per negazione attraverso quel “non_pubblico” per il quale tertium non datur. I rapporti di diritto, storicamente quelli privati, codificati dal Corpus iurisdi Giustiniano, costituiscono per secoli e secoli la matrice di sviluppo delle società (di uguali e di disuguali) passando per Hegel e Marx.
Il diritto pubblico si afferma molto più tardi come corpo sistematico, solo quando si inizierà a strutturare lo stato moderno (territoriale e burocratico). La repubblica democratica (res publica) non solo nel senso proprio della parola , ma anche nel senso di esposta al pubblico, esige che il potere sia visibile, e ciò accadeva nell’agorà, senza segreti, nascosta a nessun occhio (Bobbio). Ecco quindi che, nel tracciato che lega questi due termini allo spazio del nostro mondo occidentale si torna alle forme del costruito.
Le due sfere vengono in effetti da molto lontano. Pubblico e privato (ecclesia edoikos) hanno bisogno dell’agorà, ovvero della comunicazione, dell’interfaccia fra le due sfere stesse della polis, per dar vita a un luogo del dialogo, della cooperazione, del sano e giusto compromesso. […] Oggi l’opportunità di mutare la nostra condizione dipende più che mai “dall’agorà: lo spazio né privato né pubblico, ma più esattamente privato e pubblico al tempo stesso. Lo spazio in cui i problemi privati si connettono in modo significativo: vale a dire, non per trarre piaceri narcisistici o per sfruttare a fini terapeutici la scena pubblica, ma per cercare strumenti gestiti collettivamente abbastanza efficaci da sollevare gli individui dalla miseria subita privatamente; lo spazio in cui possono nascere e prendere forma idee quali – bene pubblico -, – società giusta -, o – valori condivisi -. Il problema è cheoggi è rimasto poco degli antichi spazi privati/pubblici, ma non se ne intravedono di nuovi idonei a rimpiazzarli. Le antiche agorà sono state rilevate da intraprendenti immobiliari e riciclate in parchi dei divertimenti, mentre forze potenti cospirano con l’apatia politica per rifiutare i permessi di costruirne di nuove”.
Sono parole di Zygmunt Bauman, scritte oltre dieci anni fa in uno straordinario volume dal titolo La solitudine del cittadino globale, che metteva in luce come nel mondo attuale viga la politica del conformismo e dell’impotenza che rende rari e in via di estinzione gli spazi pubblici/privati e (qualora presenti) quasi sempre vuoti. Insicurezze e incertezze producono divisioni, prese di distanza, sospetti e allontanano le persone le une dalle altre, creando ansia e consumando energia, tanta, troppa energia che, dice Bauman, potrebbe essere diversamente incanalata nello sforzo di riportare il potere nell’ambito dello spazio pubblico gestito politicamente.
Perché, quindi, non ricordare come “la città nasce come spazio pubblico che dà senso e scansione al privato; anche gli edifici, sono, simultaneamente, definitori dello spazio pubblico – le quinte della vita pubblica – e contenitori dello spazio privati. La città accoglie, struttura e legittima le diversità offrendo spazi pubblici capaci di intercettarle ed attualizzarle nonché di mettere le diversità in contatto fisico, prima, e in rete comunicativa, poi. Le diversità costituiscono per ciascuno gli altriindispensabili ai progetti di identità” (Amendola). […]
Il diritto alla segretezza si sta trasformando in diritto alla pubblicità e durante questa avvolgente e nefasta metamorfosi il concetto di pubblico un tempo riservato ad eventi collettivi e a cose mai riferibili a cose private si capovolge. Il pubblico diventa “lo spazio in cui esibire faccende private” (Bauman), perché l’esibizione avviene per e nell’interesse pubblico, affermando che l’interesse è nella necessità di soddisfare la curiosità e quindi di appartenere all’esigenza di pubblico interesse.
Il pubblico è stato privato di un suo appropriato significato, “lo tengono insieme le disperate richieste di aiuto degli individui, incapaci di dare un senso alle emozioni e agli stati d’animo privati, rimasti fin qui inespressi” (Bauman). L’agorà di oggi è il forum pubblico dei talk-show? Oppure in un forte e stabile rapporto seduttivo e sognante tutto diventa immaginabile e “l’ipermodernità non è la piazza, ma la strada di comunicazione (…) il Forum è l’esempio paradigmatico del non-luogo ipermoderno, schiacciato dalla forza di attrazione del mondo della superficie dove esiste una dimensione pubblica ancora viva e pulsante, dove alberga ancora lo spirito di Balzac e dove, in ultima analisi, esiste la città” (Amendola).